RIPORTIAMO QUI UNO SCRITTO DI ARTURO, INVIATO DALLA LATITANZA:

NON SONO MERCE DA TRIBUNALE

Siccome sono state rese pubbliche le imputazioni riguardanti le vicende di Brosso, l'avvocato che si occupa del mio caso mi chiede quale linea di difesa io intenda adottare.
La scelta di impedire l'infame opera di falsificazione e manipolazione compiuta dai giornalisti rientra nell'insieme di iniziative che si sono verificate in quel periodo.
Di conseguenza non considero separabili da tutto ciò neppure le vicende giudiziarie che ne sono derivate.
I professionisti del buonsenso e del vittimismo mi consigliano di puntare tutto sulla questione emotiva, sul dolore per la scomparsa di un amico, nella speranza che queste giustificazioni inteneriscano le decisioni dei giudici. Se abbassi la testa e ti mostri mansueto, la mano dell'inquisitore sarà più leggera.

I miei sentimenti non sono merce da tribunale, oggetto di speculazioni pietistiche, e non possono quindi essere utilizzati al fine di negare la lucidità e la determinazione con cui collettivamente sI sono cacciati dai funerali di baleno gli sciacalli dell'informazione. Io penso che la cosa migliore sia quella di potermi confrontare con gli altri imputati e tutti coloro che in quei giorni condivisero quelle lotte.

Non mi aspetto nulla di buono dalla "giustizia" e preferisco rilanciare.

A Brosso come pure in altre circostamze, si è dimostrato che tamite l'azione diretta è possibile difendersi dai falsari dell'informazione. Basta uscire dal ruolo passivo dello spettacolo che viene imposto. Senza perdere tempo a lamentarmi sul perchè questa volta sia toccata proprio a me, rilancio la questione a tutte le persone che a quei momenti hanno preso parte.

Avrei piacere che questa vicenda si potesse trasformare in un'occasione per agire, un'occasione di analisi e confronto per coloro che quel gesto lo hanno compreso e sostenuto. Creare un'occasione che dia anche a me la possibilità di partecipare, di rimanere in contatto con la realtà che vivevo.

La mia situazione è cambiata e mi ha naturalmente portato a fare più aprofondite riflessioni sui miei obiettivi e sulla mia concezione della rivolta.
Ho compreso finalmente cosa provano migliaia d'individui nelle mie stesse condizioni, ho compreso che bisogna sperimentare in prima persona.
Quando il regime democratico ancora tollerava certe mie libertà, non ero molto attento a ciò che accadeva agli individui più colpiti dalla repressione.Quando fu la volta di quelli a me più vicini, la mia sensibilità aumentò un poco, ma ho dovuto sbatterci il naso per capire quanto sia vitale la solidarietà, quanto sia importante per me continuare a cospirare.

Ma con chi?
E' la mia lotta affine a quella di coloro che con i giornalisti hanno continuato a dialogare?
Sono le mie tensioni simili a quelle di coloro che dell'azione diretta approvano solo la versione "pubblica e colletiva"? Di coloro che, utilizzando di fatto gli stessi criteri del potere, accomunano espressioni come "terroristi" e "clandestini"?
Sono i miei desideri uguali a quelli di chi, al termine della manifestazione del 4 aprile, si vantava di aver concluso il corteo in modo civile e senza incidenti?

Evidentemente mi rivolgo a quanti hanno scelto una rivolta senza limiti, a coloro che sanno ragionare anche con il cuore e non permettano che la propria partecipazione venga pilotata da logiche autoritarie, che queste provengano da squallide stanze del potere o, peggio ancora, da quelle ridipinte di una casa occupata.

Quanto ho finora esposto è un resoconto di alcune riflessioni che spero possano stimolare discussioni costruttive con chi, anche a distanza, continua a sentire gli stessi miei desideri.

ARTURO FAZIO

Inserita in rete il 9/1/99